APPUNTAMENTO A BELLEVILLE


Appuntamento a Belleville (in originale Les Triplettes de Belleville) è un film d’animazione, di coproduzione franco-belga-canadese, diretto da Sylvain Chomet. Nel 2004 gareggiò per l’Oscar come miglior film d’animazione ma dovette soccombere di fronte a Alla ricerca di Nemo. All’inizio della storia (anni ’50) c’è un bambino orfano di cui intuiremo che è chiamato Champion (ignoriamo se questo sia il suo vero, bizzarro nome o solo un soprannome) che vive alla periferia di Parigi in una casa-torre assieme alla nonna Mme Souza, immigrata in Francia dal natio Portogallo molti anni prima. Vedendolo sempre malinconico, la nonna cerca qualcosa per rimotivarlo, che però non è la musica né il dono di un cagnolino di nome Bruno. Ma l’anziana scopre che il nipote coltiva segretamente l’ammirazione per i campioni del ciclismo, così gli regala una bicicletta. Questa volta il regalo fa centro. Alcuni anni dopo (siamo nel decennio seguente) troviamo Mme Souza che allena il nipote per il successivo Tour de France. Champion vi partecipa, ma viene rapito e portato oltreoceano con altri ciclisti da due mafiosi che intendono impiegarli per scommesse clandestine. La nonnina non si dà per vinta e con Bruno insegue i rapitori fino a Belleville (che non è perciò l’omonimo quartiere di Parigi, ma piuttosto la caricatura di New York). Lì incontra un trio di anziane cantanti di vaudeville di cui aveva visto gli spettacoli in televisione molti anni prima, le celebri “Triplettes de Belleville”, e ne ottiene la collaborazione nel tentativo di liberare Champion. La prima cosa che colpisce in questo film è il cosiddetto character design: i tratti sono tutti fortemente caricaturali. Il naso lungo e la stempiatura di Champion ricordano quelli di Fausto Coppi (di cui conserva orgogliosamente un autografo). Di un uomo massiccio, grande e grosso si usa dire che è “un armadio”: e le guardie del corpo dei boss mafiosi hanno effettivamente le spalle squadrate che danno loro la forma di un armadio. La caricatura non si ferma alle persone, ma coinvolge anche oggetti inanimati, cosicché quasi ogni cosa visibile nel film appare come la caricatura di sé stessa. Questo però nulla toglie alla resa dei dettagli, che è sempre molto curata e precisa, insomma non “minimalista”, formando nello spettatore un’impressione ancora più grottesca. La colonna sonora è formata in modo di gran lunga prevalente da rumori naturali e artificiali, da musiche e canzoni (non però cantate dai personaggi, come nei tipici film animati americani, tranne che nello show delle Triplettes); la parte riservata ai dialoghi è ridottissima, come avveniva nei film di Jacques Tati, al quali il regista fa due omaggi espliciti nel corso della storia. Una delle parti più belle, a mio avviso, è costituita dai sogni di Bruno, in cui il cane, che ha l’ossessione dei treni perché rimasto traumatizzato da cucciolo in un incidente con un trenino giocattolo, crede di cavalcare a grande velocità dei modelli ottocenteschi di locomotiva, realizzati in computer grafica. In definitiva, se amate davvero il cinema d’animazione, non potete trascurare quanto di meglio ha prodotto l’Europa negli ultimi anni, che secondo me è proprio Appuntamento a Belleville.