L'ASSEDIO DI FAMAGOSTA


La vicenda dell'assedio di Famagosta ebbe una grande eco nella cultura e nella politica degli stati europei che si affacciano sul Mediterraneo nel periodo in cui si svolse.

Famagosta (oggi Gazimagusa) era un antico borgo bizantino, conquistato da Riccardo Cuor di Leone nel 1191, affidato ai templari e in seguito alla dinastia dei Lusignano (Re di Cipro e Gerusalemme).



L'ultima regina di questa casata, Caterina Cornaro, nel 1489 ne aveva fatto dono alla Repubblica di Venezia, che la trasformò in un avamposto dell'impero commerciale di San Marco nel Mediterraneo.



La storia di questa città aveva fatto sì che si creasse una società eurasiatica che aveva raggiunto alti livelli di civiltà, andati perduti con la conquista islamica. Una società multietnica che conciliava il rude stile di vita occidentale con quello più raffinato dell'oriente. La conquista da parte dei crociati aveva portato una prosperità che non si vedeva dalla fine dell'Impero Romano e che non si vedrà più in seguito alla vittoria degli eserciti musulmani.

La cavalleria turca giuse sotto le mura delle città nell'Ottobre 1570, quando il governatore Marcantonio Bragadin aveva già approntato le difese. Al rifiuto da parte del governatore di accettare la resa, il comandante turco Lala Mustafà lo minacciò di fargli fare la stessa fine dei difensori di Nicosia, facendogli recapitare la testa mozzata e putrefatta di Niccolò Dandolo, governatore di Nicosia.

Il sistema difensivo di Famagosta era eccellente, ma le forze sporporzionate e le riserve di viveri limitate (nonostante Bragadin avesse già messo in salvo numerosi civili sull'Isola di Creta).

Dopo inutili tentativi di assalto, i turchi decisero di porre l'assedio alla città, e si accamparono sotto le mure, iniziando un continuo martellamento della città con i 25 cannoni e 4 basilischi.
La situazione rimase in stallo per alcuni mesi, scanditi da attacchi e contrattacchi. Nel Gennaio 1571 da Venezia giunsero alcuni (scarsi) rinforzi e provviste. Oltre ai soldati giunti dalla Repubblica, a Famagosta si trovavano miliziani albanesi, ciprioti e italiani, e 3000 civili. Con l'arrivo della primavera le azioni belliche ripresero con più forza e la situazione per gli assediati non potè che peggiorare. Tuttavia i difensori riusciro a resistere a ben quattro diversi assalti, nonostante le numerose perdite e la mancanza di viveri ormai cronica. In questi fatti d'armi si distinsero le donne di Famagosta, che aiutarono i difensori nell'approntare ciò che poteva essere utile a scacciare gli assalitori.





Al quinto assalto, che fu diretto da tutte le direzioni e che permise agli assalitori di entrare nella città da numerose brecce, Bragadin decise di trattare la resa, certo che il comandante dell'esercito turco avrebbe rispettato le convenzioni di guerra che concedevano salva la vita agli assediati che si fossero arresi. Era l'unica soluzione rimasta: i viveri erano terminati del tutto e non rimanevano altro che 6 barili di polvere da sparo.

Il primo Agosto 1571 venne issata la bandiera bianca. Poco dopo i delegati delle due parti firmarono il trattato di resa che garantiva salva la vita e i beni degli assediati rimasti in vita.

Bragadin accettò di incontrare Lala Mustafà, che disse di desiderare conoscerlo. Scortato da un centinaio di archibugieri e in compagni di Baglioni, Martinengo e il giovane ventenne Querini (comandanti dei soldati che avevano difeso Famagosta), Bragadin si recò nel campo turco, e fu accolto con molta cortesia nella tenda di Mustafà. Ma le cose non andarono come sperava.

Mustafà accusò Bragadin di non avere rispettato il trattato della resa, e chiese come ostaggio il giovane Querini. Al rifiuto di Bragadin, iniziò la carneficina. Con un cenno della mano Mustafà ordinò l'arresto di tutti gli archibugieri veneziani, che furono radunati nella piazza d'armi dell'accampamento turco e fatti a pezzi uno a uno, tranne Bragadin, al quale furono tagliati il naso e le orecchie (per lui si preparava una fine più crudele). Successivamente anche coloro che già erano sulle navi turche, convinti ormai di essere in salvo, furono fatti sbarcare e uccisi o fatti schiavi (a seconda dell'età e dell'avvenenza). Il giorno seguente Mustafà fece il suo ingresso trionfale a Famagosta, e dopo avere fatto impiccare Lorenzo Tiepolo, che sostituiva Bragadin nella carica di governatore, scatenò i suoi soldati sulla popolazione inerme (ormai allo stremo), con le conseguenze che è facile immaginare.
Le sofferenze di Bragadin non si limitarono alla vista di questa strage. Dopo essere stato crudelmente torturano e sottoposto a infami sevizie, fu scuoiato vivo nella piazza centrale della città. Ma l'ira di Mustafà non si fermò qui, e anche il suo cadavere fu maltrattato.



In occasione della Giornata della Memoria di quest'anno ho scelto un fatto accaduto nel XVI secolo, che forse alcuni di voi sentiranno come lontano dall'esperienza loro personale o da ciò che avrebbero potuto aspettarsi da una ricorrenza importante come quella di oggi. La scelta non è casuale, ma vuole essere un esempio e un richiamo a vicende che a questa possono assomigliare e che purtroppo non mancano nella storia dell'umanità, anche in quella recente. Persone che a costo della vita decidono, contro ogni speranza e nella certezza della disfatta, di difendere la terra che sentono e vivono come loro da individui senza scrupoli che per obbedire al cieco richiamo del potere, del prestigio e della ricchezza calpestano i diritti dei popoli e non danno peso alla parola data o ai giuramenti fatti. In particolare il ricordo di oggi va a quei civili che hanno dimostrato la forza, il coraggio e la determinazione che solitamente ci si aspetta solo da soldati. Ricordiamo uomini e donne, giovani e vecchi che di fronte alla scelta tra la vita da schiavi o in terra straniera e la morte certa nella loro casa hanno scelto quest'ultima, come sacrificio che certamente non è vano agli occhi di chi condivide ciò che questi individui hanno provato e vissuto per amore della loro indipendenza e libertà.