IL MASSACRO DI GAETA

GIORNATA DELLA MEMORIA - 2 NOVEMBRE 2010

“Chi controlla il presente controlla il passato. Chi controlla il passato controlla il futuro”
George Orwell, da “1984”



Esistono molti massacri che vengono purtroppo nascosti o non si sa cos’altro dalla storia stessa. Non c’è qui assolutamente l’intenzione di scrivere qualcosa di revisionista, ma c’è senz’altro quella di tener vivo quantomeno il ricordo di episodi di bieca crudeltà umana. E in questi eccidi c’è soltanto da prender le difese di chi subisce.

Il 13 febbraio 1861 il generale piemontese Cialdini invade l’allora Regno delle Due Sicilie per ordine di Camillo Benso di Cavour. In quella data precisamente viene distrutta la fortezza di Gaeta. C’è soprattutto da sottolineare che i piemontesi erano spinti in questo piano dalla massoneria inglese, nella persona del Gran Maestro Venerabile Albert Pike, il quale diede un contributo non indifferente alla manipolazione della stampa di allora, elogiando le imprese militari piemontesi mentre delle morti di cittadini duo siciliani manco a parlarne. L’esercito sabaudo, infatti, in quel periodo apriva il fuoco contro città indifese, contro le case, sgozzava e violentava donne, saccheggiava abitazioni, trafugava statue e vari tesori, uccideva giovani, anziani e bambini a colpi di baionette. Il risultato: circa 900.000 morti. Circa 900.000 dei quali non si doveva sapere niente; anzi, ci furono giornali che diedero qualche bilancio, ma a quanto pare furono sottostimati.

Per questa folle operazione omicida il governo piemontese dà carta bianca su come fare piazza pulita a generali di eserciti addestrati all’eccidio, alle rappresaglie e alla fucilazione. La resistenza all’invasione piemontese venne chiamata “brigantaggio”, parola che oggi viene usata per indicare bande delinquenti organizzate dell’Italia meridionale. Possiamo definire il massacro di Gaeta come un inizio di una vera e propria colonizzazione; il più determinato e spietato fu il già citato generale Cialdini, che finito il lavoro a Gaeta telegrafa il governatore del Molise con queste parole: ”Faccia pubblicare un bando che fucilo tutti i paesani che piglio armati e do quartiere solo alla truppa”. Ma non è giusto ricordare il solo Cialdini, che era a quanto pare ben accompagnato da Fanti, Pinelli, Della Rocca e dal colonnello Pietro Fumel che oltre di torturare i prigionieri si vantava di aver “fucilato briganti e non briganti”.

Stessa sorte di Gaeta toccò ad altre città del Regno delle Due Sicilie, tra cui: Scurcola, Carbonara. Avigliano, Gioia del Colle, Pontelandolfo, Casalduni, Venosa, patria d’Orazio, Barile, Monteverde, S. Marco, Rignano, Spinelli, Montefalcione e Auletta.
Ma cosa succede precisamente a Gaeta? L’esercito sabaudo presentava 18.000 soldati, 1.600 cavalli, 66 cannoni a canna rigata e 180 cannoni a lunga gittata ed era uno dei più avanzati al mondo, a differenza di quello napoletano che era molto meno moderno. L’11 novembre 1860 iniziano le ostilità via terra, mentre il 19 gennaio 1861 l’attracco al molo di Gaeta segna l’inizio di quelle via mare. Da quel giorno partono le 102 giornate di assedio (e di massacri) ai danni della millenaria fortezza (era attiva dall’846), dei soldati e dei civili napoletani per un bilancio di: 829 caduti in combattimento e morti per malattia, quasi 600 i feriti, circa 1400 ammalati, per un totale di 2800 uomini fuori combattimento; fra i civili circa 200 morti, più varie centinaia di feriti e di ammalati. E a queste cifre si arrivò anche mentre il re Francesco II di Borbone, per evitare altre morti di soldati e civili, decide di firmare la resa data la “abitudine” del generale Cialdini di continuare i bombardamenti fino alla firma della capitolazione.

Non credo sia importante parlare delle ripercussioni che tutto questo ha sulla situazione di oggi. Ripeto, non si intende assolutamente fare revisionismo; l’unica intenzione è quella di condannare gesti del genere per essere tutti padroni del presente, del passato e del futuro.