DAVID BOWIE - EARTHLING

Questa recensione prosegue il discorso già iniziato con quella di Outside: David Bowie, a metà degli anni '90, vuole cambiare. Se nel 1995 pubblicò il primo vertice di questo cambiamento, sfornando il più bel disco dai tempi di Heroes, nel 1997 (al suo 50° compleanno) ne pubblica il 2°. Poteva essere, come si sospettava, un proseguimento della linea di Outside (destinato ad essere una trilogia), ma sarebbe stato troppo semplice, troppo prevedibile. Ecco quindi Earthling, album durissimo e dominato da una surreale e tecnologica atmosfera jungle, con ritmi velocissimi, percussioni frenetiche ed effetti sonori impazziti. Siamo lontanissimi dalle atmosfere oscure del precedente, qui dominano i colori, sgargianti e intermittenti, come le distorsioni della chitarra elettrica. Little wonder è il primo singolo, una dichiarazione di intenti, una catarsi rock. Ma il meglio viene dopo: dopo l'introduzione leggera ecco apparire Looking for satellites, canto spensierato per una musica ossessiva, che giunge al compimento con l'assolo distorto finale. Ancora più distorsione nella seguente Battle for Britain, ma il meglio è Seven Years in Tibet, in cui l'atmosfera oscura dominata dal sax è squarciata da un durissimo rock. E come non parlare del brano più ballabile: Dead man walking, atmosfera più elettronica e leggera, ma altrettanto affascinante, così come I'm afraid of Americans. Chiude l'album (dopo Telling lies, brano di lancio del disco e The last thing you should do) Law-Earthlings on fire, brano che a discapito del titolo è più vicino all'oscurità e all'ossessione di Outside. Leggermente inferiore rispetto al capolavoro precedente, ma grandissimo album. Dopo, tutto cambierà di nuovo