PREFAB SPROUT - JORDAN THE COMEBACK

Il ritorno dei Prefab Sprout, dopo il deludente From Langley Park to Memphis, avviene nel 1990, a due anni di distanza e a ben cinque dal capolavoro di Steve McQueen, uno dei migliori album pop di tutti gli anni '80 (e non solo). L'accostamento di quest'album con quello del 1985 non è poi così semplice da fare, sia per motivi tecnici (il primo conteneva 11 tracce, questo ben 19), sia per musicali veri e propri. Se infatti Steve McQueen basava su un pop semplice, ricco di intuizioni provenienti dalla musica popolare americana (alla quale Paddy McAloon, leader del gruppo, si è sempre ispirato), Jordan the comeback è molto più complesso. Certo, il rock'n'roll spopola ancora in brani dal ritmo veloce e dalla strumentazione prevalentemente semplice (batteria, chitarre e voce), come in Looking for Atlantis, Moon dog, Scarlet nights e la title track. Tuttavia moltissimi possono vantare una sperimentazione già più ardita, come il tono snaturato di Machine gun Ibiza, le distorsioni di Ice Maiden (che da un ritmo rock elettronico passano alla dolcezza sconfinata del proseguimento della canzone Paris Smith) e Michael. Ma anche le ballate più pop sono perfettamente rappresentate, in veri e propri classici del genere, come All the world loves lovers (capolavoro assoluto della band), Wild horses e One of the broken. L'album però è ricchissimo, possiamo trovare accenni a ritmi latini (Carnival 2000, Jesse James Bolero), brani orchestrali di gran classe come We let the stars go. Nel realizzare un collage sonoro di questo tipo probabilmente si sono scordate alcune cose (come per esempio l'ironia lampante di brani precedenti come King of rock'n'roll), approssimate altre, ma Jordan the comeback è un capolavoro, come ambizione nel realizzarlo e come disco di ottima musica, senza il minimo calo di bellezza.