REM - UP

Bill Berry se n'è andato. Motivi di salute a quanto pare. Bisogna partire assolutamente da qui per recensire Up, uno dei più controverso album dei REM, reduci da quel variegato capolavoro di New adventures in Hi-Fi. La perdita infatti del membro non solo ridurrà lo storico quartetto a un terzetto ma avrà conseguenze molto importanti per la musica. Up (1998) è il primo album a 3 (poi verranno Reveal e Around the sun, già recensiti), con una consistente deriva elettronica. Ho detto controverso, infatti io lo considero il peggiore, in quanto poco definito e dall'aspetto sconclusionato nell'insieme (a poca distanza l'estraneo Monster), ma c'è chi lo apprezza, quasi come il canto del cigno della band. Io non li capisco, l'apertura con la strumentale Airportman giace sul soporifero, con effetti elettronici senza infamia nè lode e ritmo praticamente assente. Piccola mancanza? Forse sì, segue infatti Lotus, una delle migliori di tutto il disco, che coniuga comunque il rock al nuovo volto della band. Interpretazione di Stipe su grandi livelli, con voce acida e sgraziata. Canzone comunque coinvolgente e ben riuscita. Ballata sintetica (del genere che faranno la fortuna di Reveal) Suspicion, noiosa e pallidi tentativi di ritmo con Hope, da dimenticare. E non basta il violoncello di At my most beautiful (capolavoro assoluto e dispiace sia finita in Up) per sollevare la situazione. Stupenda sì, con pianoforte, atmosfere classiche, ottima voce, ma attorniata da mediocrità. Raggiungono a malapena la sufficienza The apologist e Sad professor mentre con You're in the air quasi si va nel patetico. Di bello rimane Walk unafraid, godibile brano basato sui cambi di ritmo e su un'elettronica piuttosto invasivo. Dal vivo rende benissimo, sicuramente tra le migliori del disco. Del finale si cita solo Daysleeper, ballata classica retta quasi solo sulla voce di Michael Stipe, ma che (come spesso succede) non aggiunge niente al filone di Everybody hurts. Da dimenticare quindi questo Up, meglio ripiegare su Reveal.