STING - Mercury falling


 

1996: due anni dopo Fields of gold Sting torna sulle scene musicali con un album melodico, blues, raffinato, di grande qualità ma che tuttavia non riuscirà ad ottenere il successo dei gloriosi precedenti (come Ten summoner's tales). Partenza con The hounds of winter, inquietante musica tra gli archi, una batteria (che già dai primi secondi si ritaglia un ruolo importante) e la chitarra elettrica. Ulula anche Sting, in un brano di grande spessore. Più solare I hung my head, rockeggiante che tuttavia rimane incastrata tra la prima e il capolavoro seguente: Let your soul be your pilot, cori blues, un'ottimo sax, la voce dell'ex Police che ci accompagna. Arriva poi un altro grande: I was brought to my senses, capolavoro acustico, chitarra acustica, qualche fiato per una melodia coinvolgente fino all'ultimo secondo. Si discostano un po' You still touch me e All four seasons, da ricordare soprattutto quest'ultima, un classico alla Sting. Atmosfere popolari per I'm so happy I can't stop crying, una piccola perla. Più da Police è Twenty five to midnight, dotata di freschezza e suono gradevole. Melodie più strazianti, lente per Valparaiso e una chiusura appropriata (blues, come il meglio di questo album) per Lithium sunset. L'ultimo grande album di Sting, che non riesce a stupire ma questa volta ad incantare.

Duck Luca