FRANCO BATTIATO - INNERES AUGE

"Il tutto è più della somma delle sue parti", riporta Battiato come sottotitolo a questo suo nuovo album, Inneres Auge, dandoci (involontariamente o no?) una chiave per valutarlo. La prima impressione che si ha infatti di questo ennesimo lavoro del nuovo millennio del cantautore siciliano, è che sia uscito troppo in fretta, appena il tempo di racimolare qualche inedito e completato con qualche riedizione di classici e b-side. Se pensiamo che Battiato ha fatto uscire nel 2007 Il vuoto, nel 2008 Fleurs 2 e quest'anno Inneres Auge, possiamo sicuramente dire che c'è quasi un surplus di brani del cantautore, probabilmente con forti pressione della casa discografica, che però non sono di grande qualità (nonostante Il vuoto lo valuti positivamente). Un album quindi è più della somma di una decina di brani, vi possono essere progetti, temi, atmosfere dietro. Tutto questo va perduto in Inneres Auge, che sembra effettivamente tirato insieme in qualche modo. Principe e singolo di questo nuovo lavoro è la title track, canzone controversa che si divide in una parte verso la materia, con i festini di Silvio Berlusconi, il presidente del consiglio italiano, e quella più spirituale, nell'immagine (ormai solita) del Battiato studioso e filosofo, che tenta di isolarsi dal malessere che gli viene dal di fuori. Ci tengo a smentire chi parla di "filone politico" nelle canzoni, collegandosi a Povera patria. Il pezzo infatti è di vent'anni fa, con innumrevoli album passati in mezzo, completamente diverso, anche per spirito, da Inneres Auge (che se mai si riallaccia alla critica di Ermeneutica, brano contenuto in Dieci stratagemmi incentrato sulla guerra e sulla politica estera americana). Battiato non ha mai creduto nelle canzoni usate come mezzo di diffusione di ideali politici, questo mezzo è inoltre molto lontano da quanto ha voluto comunicare l'autore negli anni (se mai sono idee filosofiche, mistiche, letterarie, musicale). Degli altri inediti, Inverno (cover di De Andrè), Tibet e U'Cuntu si salva praticamente solo la prima. Passando alle riletture, la prima cosa che salta all'occhio è il sacrilego sfregio di Stage door, che perde il climax (ascendente e discendente) e l'atmosfera che ne facevano una delle perle nascoste di Battiato. Buona la scelta di altri brani (La quiete dopo un addio, Haiku, L'incantesimo) poco conosciuti. Rimangono Un'altra vita e No time no space, pezzi forti degli anni '80, il periodo maggiormente pop, rivisitati con garbo e perizia. In particolare la prima è veramente godibile. Concludendo, Inneres Auge è un album di cui non se ne sentiva il bisogno, a questo facciamo uscire un singolo (bello, tra le altre cose), un ep, una raccolta con un inedito, ma un disco a metà sarà sempre da bocciare.