DAVID BOWIE - HOURS

Dopo Outside e Earthling, ecco Hours. Il Bowie degli anni '90 non prova minimamente a rimanere su un copione solido ma continua a cambiare e questa volta sono di scena le ballate. Dopo l'oscurità che pervadeva Outside e i colori sgargianti di Earthling ci sono le tinte pastello, i suoni abbozzati di Hours, album tra il nostalgico e il dolce datato 1999. Un evidente ritorno agli esordi, dimenticando sicuramente il meglio del cantante inglese: la new wave. Il flop di questo album non è ingiustificato, infatti non c'è molto da sentire, buono il singolo tra archi, tastiere e voce Thursday's child ma cosa può aggiungere quando c'è già This is not America o Space oddity? Molto meglio la più decisa Survive, in cui la chitarra elettrica ravviva qualche spunto melodico, un brano sicuramente trascinante. Promossa anche l'acustica Seven, ballata con poche pretese di ispirazione quasi folk ma che riesce a fare atmosfera, anche grazie a una buona interpretazione. Il resto? Il riavvicinamento a forme più rock di Something in the air e What's really happening non può convincere, nè la ridondante If I'm dreaming my life (che è un po' il tema centrale dell'album, la nostalgia del passato). Chiude qualcosa di più riuscito, The dreamers, ma siamo lontanissimi dalla bellezza che pervadeva i due album precedenti. Hours forse è la chiusura del periodo creativo di Bowie, con nostalgia verso le grandi intuzioni di capolavori come Low e Heroes, non è sicuramente un gran finale, ma uno sfumarsi sempre di più.