THE DIVINE COMEDY - FIN DE SIÈCLE

Ho già parlato dei Divine Comedy, il gruppo ad uso e consumo di Neil Hannon, uno dei migliori autori di tutta la scena anglofona (la sua origine è comunque irlandese). Riprendo il discorso, sia per approfondire quello che fu il loro periodo migliore dal punto di vista commerciale, sia per ricordare a quanti se lo son perso, l'esistenza di un'ottima band pop, raffinatissima. Uno dei temi centrali e ricorrenti di Hannon è il sesso. Ne ha sempre parlato in lungo e in largo, sia in Casanova (appunto), sia in A short album about love. Anche Fin de siècle (1998) parte da qui, con Generation sex, che è tuttavia uno dei brani più deboli, incentrati sul libertinismo sessuale anni '60. Ma sono prove generali, il tema (e qua invece parliamo di suono) viene sviluppato in National express, in cui tornano fiati, atmosfere retrò, aggiungendo però ottime dosi di ironia. La voce di Hannon passa da treni a spazi chiusi a inserventi carine (meglio non vedere il video). L'interpretazione magistrarle è sorretta da un ottima musica, che prende elementi dallo swing, dal rock, dal pop nello stile unico dei Divine Comedy. Non bisogna però pensare che la vita sia rosa e fiori, nella spensieratezza di National express. La fine di secolo ce lo ricorda con Sweden, in cui i fiati si fanno opprimenti, gravi. E' evidente l'influsso di capisaldi della canzone americana, come i musical di Gershwin, che si infiltrano pure in Here comes the flood, da ambiente tipicamente metropolitano, come i migliori brani corali di Porgy and Bess. La classe affiora sempre, spettacolare è la base nella breve parte recitativa. Non si può fare a meno di citare Eric the gardener. Molto lontano dagli altri, questo brano di 8 minuti ci riporta in atmosfere elettroniche, minimaliste. Hannon non cede alla tentazione di sfociare nei climax, negli assoli chilometrici, non è questo il suo scopo. Invece scopriamo la grande passione per l'elettronica, presente in tutti i movimenti, insieme agli archi. La melodia e le sue variazioni ci riportano nel minimalismo, nelle sinfonie di Philip Glass, più che nell'ossessività di Steve Reich, ma siamo sempre lì. La chiusura è lasciata a Sunrise, con gli archi pizzicati (che ritornano, basta sentire Your daddy's car), il pop vero e proprio con riferimenti agli Smiths, la voce tra il falsetto e toni più gravi, come Morrisey. Il finale è una prova di potenza, l'orgasmo prodotto dallo sguardo di Neil Hannon verso la musica del '900, tra musical, tradizione, elettronica e pop music.