THE DIVINE COMEDY - VICTORY FOR THE COMIC MUSE

Con un nome così, è chiaro che i Divine Comedy saltino subito all'occhio, ma forse non abbastanza. Gruppo nato nel 1989 di cui conosco ben poco anch'io, sono artefici di questo Victory for the comic muse (2006) pop raffinato che ha preferito tenere in soffitta le tastiere, per rispolverare sonorità più artigianali. In un decennio in cui si guarda con nostalgia agli estremismi sintetici dei primi anni '80 (a volte anche con ragione) è un caso già particolare, destinato a soddisfare eccome se il risultato è buono. Rispolveriamo quindi gli archi, i fiati, le chitarre acustiche per un pop in cui domina il velluto e non la plastica lucente. Già da brani come Mother dear, in cui si sente un'atmosfera decisamente country (e quindi atipica) fanno capire qualcosa, ma è con i cori sostenuti dalle trombe di To die a virgin che si intuisce come sia possibile andare oltre l'elettronica anche negli anni 2000. Tiriamo fuori un pianoforte dinamico, i violini anche in Diva Lady, ballata dal sapore blue's e retrò, quasi quanto The light of day, ancora più lussuriosa e sostenuta da cori trascinanti. Un breve scherzo di pianoforte ci introduce in una 2° parte ancora più sorprendente: a partire dalla splendida Party fears two (cover degli Associates) in cui percussioni da marcia si innestano con gli archi, il pianoforte e il trombone, la voce ci mette anche il suo, in un'interpretazione dinamica e coinvolgente. Ma non è finita, si continua con Arthur C. Clark's mysterious world, in cui assoluta protagonista è la chitarra acustica in un brano che potrebbe essere di Paul McCartney. Dopo la delicatezza anche l'impeto di The Plough, che con il piglio dell'orchestra ricorda le sinfonie più movimentate, adattate a misura di pop. Chiude Snowball in negative, un saluto delicato e anche abbastanza triste. Complimenti ai Divine Comedy che possono dire di aver fatto centro, con un album forse senza grande innovazione, ma indubbiamente di grandissima classe. Godibile e consigliato.