EELS - ELECTRO-SHOCK BLUES

In tempo di Natale, si può accantonare le luci, i lustrini, i classici motivetti felici. Si può riflettere, chiudersi, con l'aiuto del clima, della neve. La sorella di Mark Everett, leader-factotum degli Eels, è morta suicida non molto prima del 1998, anno di pubblicazione di Electro-shock blues. La musica è la ricerca di superare una vita tragica (non è il primo lutto, e non sarà l'ultimo nella carriera di Mr. Eels). La musica di questo album è la ricerca di superare il momento, attraverso un linguaggio universale, parlando di morte sì, evocando momenti di tristezza sì, ma anche proiettando raggi di sole verso il futuro. Il raggio di sole è alla fine, e noi partiamo da lì. Si intitola P.S. You rock my world, che unisce l'anima rock a quella maggiormente lirica ed emozionante. Arrivati alla fine del disco, superando quindi gli ostacoli, Everett ci ricorda che c'è ancora tempo per vivere. Si parla di anima rock, lecito quindi approfondire citando Cancer for the cure, tiratissimo insieme di voce, chitarre distorte e ritmo sbilenco. Il gusto del cantante per questi esperimenti è evidente e ritornerà spesso (esempio è l'ultimo album, Hombre lobo, di quest'anno), anche qui con Hospital food, che sostituisce chitarra con una formazione di fiati. Il disco ha momenti di vero intimismo, andando a ripescare anche sonorità non di primissima avanguardia, come in Going to your funeral Part II o Baby Genius, dedicata al padre di Everett e mai conosciuto. Da questo punto di vista, il picco si raggiunge nella splendida Dead of winter, perla acustica che ci introduce nell'ultima parte del disco (decisamente la migliore). Non ci si fa mancare nulla, Electro-shock blues contiene brani più cantabili, sempre realizzati con la massima cura. E' il terzetto di My descent into madness, la bizzarra Last top, this town e l'emozionante Climbing to the moon, climax/scalata di struttura classica, tra chitarre acustiche ed elettriche. L'anima popolare, americana riaffiora qua e là (specialmente in Ant farm o 3 speed), spingendoci ancora di più nel mondo di Mark Everett. Disco fondamentale, probabilmente il migliore di un gruppo del quale si sente effettivamente troppo poco. Impressionante il mix di elementi, il pathos della scrittura e dell'interpretazione.