SECRET CITIES - STRANGE HEARTS

I Secret Cities sono stati una delle mie soddisfazioni maggiori l'anno passato, con il loro Pink Graffiti pareva di aver trovato una forma di musica nuova e impermeabile al tempo, che prendeva tantissimo dagli anni '60 ma portando tutto in un'atmosfera molto particolare, come di decadenza. Direttamente dagli USA, i Secret Cities stupiscono ancora con un altro album a poco meno di un anno di distanza, questo Strange Hearts datato marzo 2011, che non può lasciare indifferenti sia in senso assoluto che relativamente al disco precedente. Rimane sicuramente il talento melodico e l'atmosfera che pervade i singoli brani, persi in un suono ridondante con voci che sembrano lontane, chitarre leggere, sovrapposizioni. Questa volta però si ha l'impressione che sia cambiato il contesto: dove Pink Graffiti era unitario, con poche concessioni a canzoni vere e proprie (una era Color, che consiglio), quasi un'opera unitaria divisa in tracce, qui abbiamo un disco più classico, con divisioni molto più nette e strutture classiche. Brani come Always friends, Love crime, che fanno dei riff la loro carta vincente, accattivano da soli senza entrare in una struttura più complessa. L'album scorre veloce anche grazie alla varietà e alla brevità dei brani (No pressure è un esempio lampante), piacevolmente e con richiami anche a stili un po' meno retrò (The park). La semi-title track (ci manca solo il plurale) è forse uno degli episodi meno brillanti, con poca freschezza, ma tempo 10 minuti che si arriva alla grandiosa chiusura di Portland, monumento easy-listening di 2.40, a ribadire l'importanza dell'essere concisi, soprattutto nel pop, psichedelico o meno.