STING - SYMPHONICITIES

Oggi parliamo di coraggio. Artisti come Matthew Herbert o Carl Craig, al lavoro per la Deutsche Grammophon, hanno avuto il coraggio di adattare la propria visione della musica a un progetto preciso, nella collaborazione tra la più celebre etichetta di musica classica e la modernità. Artisti come Sting hanno pubblicato riletture di John Dowland, di musica popolare inglese, con buchi nell'acqua vari non tanto per il coraggio, quanto per la mancanza totale di ispriazione. Ora, manca anche il coraggio, e lo si nota fin dal titolo di questo nuovo album Symphonicities. Il progetto consiste in riletture dei più celebri successi dell'ex Police con l'orchestra di Londra. E' ormai una procedura standard per molti (i Metallica quasi inaugurarono il genere, ma ormai ci stanno passando tutti), con successi e insuccessi. Poteva essere una buona occasione per capire dove andasse a parare Sting, se questa sua nuova idea di musica poteva portare da qualche parte, ma già dalle prime note si capisce tutto. Next to you è infatti ciò che io temevo di più: la stessa canzone, semplicemente eseguita da un'orchestra. Stesso incedere, stessa melodia, stessi passaggi, senza una minima rilettura. E' qui la totale mancanza di coraggio. Uno Sting coraggioso, ma anche non bollito, avrebbe osato qualcosa, come nell'attitudine jazz di Bring on the night, 23 anni fa. La figura è addirittura peggiore in Englishman in New York, praticamente uguale (e qui l'originale non aiuta, ma la scelta è di Sting). Stessa cosa per When we dance. Può essere utile confrontare brani come Roxanne, che risulta molto più simile alla cover che fece George Michael che non all'originale, che può essere già una piccola prova di buona volontà. Uno degli episodi migliori del disco sicuramente. Insieme a questo possiamo vedere cose buone anche in The end of the game o nella cupa We work the black seam. Ma il quadro generale resta desolante, con l'ennesima riproposizione di Every little thing she does is magic (e Message in a bottle, allora?) o peggio il solito sacrilego ritocco dell'ultimo colpo di coda di Sting: Mercury falling; dopo The hounds of winter del precedente disco, questa volta tocca a I hung my head perdere l'espressività e la forza, annegando in un mare orchestrale. Unico ripescaggio di rilievo è She's too good for me, non troppo conosciuta e che risulta una bella botta di energia, anche abbastanza originale, come lo era Soul cake un anno fa. Symphonicities è quindi l'ennesimo buco nell'acqua di un cantante allo sbando.