THE STYLE COUNCIL - CONFESSIONS OF A POP GROUP

La storia di questo album non è la solita, non è uno degli album manifesto di un gruppo, non è un capolavoro, non è una nuova uscita e non è un album di chiusura. Gli Style Council sono il secondo gruppo di Paul Weller, già membro dei Jam, formato con il tastierista Mick Albot e segna un brusco cambio di rotta. Dove i Jam erano di derivazione punk, con tutti gli accorgimenti del caso sia ben chiaro, gli Style Council sono un gruppo genuinamente pop, se mai molto più influenzato da un certo jazz all'acqua di rose, dai crooner d'altri tempi. Un deciso passo indietro. Indietro non vuol dire necessariamente male, e infatti gli Style Council sono una delle realtà più interessanti degli anni '80, con due album di ottimo livello (Cafè Bleu e Our favourite shop) in due anni. Sono anni prolifici, confermati da un album live, ma qualcosa si rompe con The cost of living e con Confessions of a pop group (1988). Il primo fatto fuori dalla critica e quasi anche dal pubblico, il secondo un flop sotto tutti gli aspetti. Weller proverà a risollevarsi ancora ma gli Style Council chiudono i battenti (provando a fare musica house!) un anno dopo Confessions a pop group, l'album più complesso della loro carriera. Disco in due parti, con brani lunghi come il triplo The Garden of Eden e la title track a chiuderle, giocando prima sul pianoforte, i fiati e gli archi poi ritornando sulle chitarre, il basso e via dicendo in pieno gusto del duo inglese. Non si può dire manchino brani di spessore: l'iniziale It's a very deep sea è una ballata interpretata divinamente, The story of a someone shoe è un gioco per sole voci molto carino. Dall'altro lato, Why I went missing, How she threw it all away, Confessions 1,2 & 3 non sfigurano nel repertorio della band, rivelando tutta l'insensatezza della demolizione che ci fu di questo disco. Si fa presto a passare da beniamini a bersagli, è mai stato possibile che un autore consolidato come Paul Weller (che ha all'attivo anche una discreta e produttiva carriera solista) in 3 anni passasse dai capolavori allo schifo? Confessions of a pop group è un album da rivalutare, anche solo per l'ambizione con cui è stato composto, presentato e probabilmente non capito. La canzone di chiusura (la title track, appunto) probabilmente è eccessiva con i suoi 9 minuti e mezzo, con quel giro di basso, la chitarra funky, ma probabilmente il testo ne valeva la pena.