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STORIA DEL 20° SECOLO
di
Federico Konstitution

Lezione 1: Gli equilibri del mondo

Il primo decennio del secolo si apre nell'atmosfera di euforica fiducia nel progresso e nell'avvenire, simboleggiata da cafè chantant e dal ballo Excelsior della Belle Epoque. Si chiude invece con il presagio di disastro e la sconfitta del mito della velocità e della tecnologia rappresentato dal Titanic nell'aprile del 1912.
Di questo periodo storico il colonialismo costituisce il tratto unitario più significativo. La conquista militare delle colone, la penetrazione economica e lo sfruttamento delle risorse di terre lontane ispirano la politica dei maggiori paesi europei. La grande depressione economica del 1873-1896, con il calo di prezzi che ne consegue, spinge gli interessi finanziari a cercare oltremare margini più alti di redditività. In assenza di conflitti continentali, gli eserciti delle grandi potenze europee scendono in campo per l'espansione coloniale, trovando in essa un utile banco di prova per nuovi armamenti e nuove strategie. La diffusione di una ideologia positivista del progresso scientifico e tecnologico si accompagna alla teorizzazione di una gerarchia di popoli e razze in lotta tra di loro per la sopravvivenza, seconod il modello della selezione naturale di Charles Darwin. Entrmbe forniscono il presupposto teorico e la giustificazione morale per la conquista di territori stranieri.
Questa nuova ondata imperialista, oltre a imprimere una forte accellerazione a un processo di espansione coloniale in atto da quattro secoli, ne modifica completamente le caratteristiche, tanto da motivare kla definizione di "nuovo colonialismo". In passato, sia pure con l'appoggio dei governi, l'iniziativa era stata in mano ai privati con le "compagnie privilegiate" (come quella inglese e olandese delle Indie Orientali).

Nella seconda parte dell'Ottocento, invece, gli stati assumono direttamente il controllo delle operazioni: La penetrazione del libero commercio avviene dopo che la bandiera delle potenze europee è stata piantata con la forza militare. Gli storici definiscono "informale" il colonialismo di vecchio tipo, perchè non prevedeva necessariamente un controllo politico diretto. Nella nuova versione, invece, soprattutto dove esistono ingenti risorse naturali, il dominio viene "formalizzato" e gli indigeni vengono sottoposti al protettorato politico e militare dei conquistatori.
Un'altra differenza si ravvisa nell'aumento dei soggetti attivi dell'espansione. Londra e Parigi guidano, come in passato, la corsa delle colonie, sfruttando il declino di Madrid, Lisbona e Amsterdam. Ma ora si aggiungono come rivali anche Berlino e Roma. Tanto l'Italia quanto la Germania, una volta conseguita l'unificazione nazionale nel decennio 1861-1871, impostano la loro politica estera sulla necessità di colmare il ritardo rispetto alle più forti potenze coloniali. Si assiste inoltre all'ascesa delle ambizione imperialista di paesi extraeuropei come gli Stati Uniti e il Giappone.

La moltiplicazione degli interessi e delle mire provoca un aumento delle occasioni di scontro fra le potenze, e ciò costituisce forse la maggiore (anche se non l'unica) contraddizione insita nella logica dell'imperialismo. Il lavorio delle diplomazie si fa frenetico man mano che si infittisce l'intreccio dei progetti di espansione. Per mantenere il primato, la Grna Bretagna allarga i propri domini in Indocina e amplia i possedimenti in Africa, mentre l'Inidia rimane la "perla" del suo impero. La Francia, dando sfogo a un desiderio di "grandeur" frenato in Europa dalla potenza tedesca, dilata a sua volta la propria espansione in Indocina e in Africa Occidentale. La Germania costruisce il suo impero nell'Africa sudorientale e nel Pacifico, dpve però hanno messo piede Francia, USA e Gran Bretagna. Con l'indipendenza del Brasile (1889), il Portogallo è eliminato dall'America Latina, mentre conserva le sue colonie sudafricane (Angola e Mozambico). La Spagna soccombe agli Stati Uniti nella guerra ispano-americana del 1898 perdendo Cuba, Portorico e Filippine. Il Belgio mantiene il controllo delle straordinarie ricchezze del Congo. L'Italia cerca senza successo l'espansione in Libia ed Eritrea.

Approfondimento
LA PACE INTERNAZIONALE
La fase che va dalla fine del conflitto francoprussiano (1871) alla vigilia della prima guerra mondiale vede una sostanziale stabilità interna negli stati europei e una relativa pace internazionale. Le potenze si concentrano nell'espansione dei confini coloniali. Sulla base di una pretesa missione civilizzatrice e di una indiscussa superiorità tecnologica e militare, le nazioni più avanzate si spartiscono il pianeta, determinando un assetto politico-economico mondiale del tutto nuovo rispetto al passato e destinato a durare fino ad i giorni nostri. La potenza economica e finanziaria raggiunta dai maggiori pasi occidentali si concentra nella sfruttamente di paesi lontani, rimasti ai margini dello sviluppo, che offrono tuttavia riserve di materie prime, nuovi mercati potenziali per i prodotti industriali, sbocchi per la disoccupazione e l'eccesso di popolazione delle nazioni conquistatrici.

Lezione 2: Lo sviluppo economico e il commercio mondiale

Nella seconda parte del XIX secolo, il capitalismo perde la naturale capacità espansiva che ne aveva contraddistinto la nascita e lo sviluppo. Si registrano crisi cicliche di sovrapproduzione, cresce la concorrenza tra imprese rivali. Le piccole aziende a conduzione familiare iniziano a cedere il posto alle grandi società per azioni (s.p.a.) che raccolgono da diversi soggetti privati gli ingenti capitali ormai indispensabili per la realizzazione di servizi di pubblica utilità (ferrovie, canali, acquedotti, impianti del gas).
La fisionomia economica dei paesi più avanzati è così caratterizzata dal dualismo tra una ampia area tradizionale, rimasta praticamente inalterata rispetto ai mutamnti in atto, e un settore moderno, più ristretto ma già decisivo, che comprende le principali industrie e larga parte delle attività finanziarie e commerciali. Questo settore, organizzato in prevalenza nella forma della s.p.a., reperisce fondi con l'autofinanziamento, col credito bancario e facendo ricorso al nascente mercato azionario delle borse dei valori nazionali. Parallelamente, in risposta ad un meccanismo concorrenziale sempre più agguerrito, si verifica il fenomeno della concentrazione aziendale, nei due tipi fondamentali del cartello e del trust. Nel primo caso due o più aziende si accordano, conservando la piena indipendenza, per mantenere i prezzi entro un determinato regime. Nel caso del trust si ha invece il controllo di un unico soggetto economico sopra imprese di vario tipo strettamente integrate tra loro. Una terza forma di concentrazione consiste nella holding, struttura a configurazione piramidale, dove una "società madre" controlla un complesso sistema di società, legate l'una all'altra da partecipazioni azionarie incrociate. Tali forme di associazione si sviluppano soprattutto in Gran Bretagna e in Germania, su imitazione del modello statunitense incarnato dalla figura del potente finanziere John Rockfeller. Le maggiori industrie si espandono a livello internazionale, attraverso investimenti di capitali e impianti industriali all'estero.

Sviluppatesi a partire dall'ultimo trentennio dell'ottocento, le imprese multinazionali si moltiplicao rapidamente, giungendo già nel 1914 al numero di 300. Lo sviluppo dell'industria e l'espansione delle unità produttive sono all'origine dei primi tentativi di impostar su basi scientifiche il lavoro degli operai. Negli USA l'ongegnere Frederick W. Taylor teorizza la cosiddetta "organizzazione scientifica del lavoro", che mira a razionalizzare i processi produttivi, individuando il modo più rapido ed efficace per effettuare ogni singola operazione lavorativa. La vita di fabbrica favorisce anche la crescita della coscienza di classe degli operai: si rafforzano i sindacati e i partiti socialisti (divisi fra l tendenze più radicali, fomentate dai grandi squilibri economici, e le spinte rifomiste) forti soprattutto ni paesi dell'Europa centrosettentrionale, dove si avviano politiche di previdenza e sicurezza sociale.

L'allargamento della produzione su scala mondiale, la nascita dei grandi monopoli e oligopoli (società in grado di controllare del tutto o in parte un intero settore produttivo), lo sviluppo della concorrenza e delle rivalità economiche fra i grandi gruppi, spingono gli stati a un più diretto intervento in economia. Si delineano in questo periodo tendenze alla nazionalizzazione delle imprese e alla gestione statale degli interessi economici nazionali all'estero.
Il campo in cui si rende più palese tale volontà di intervento è quello della politica doganale. Sotto la spinta dei gruppi di pressione agrari e industriali che chiedono la difesa della loro produzione dalla concorrenza estera, i governi impongono tariffe doganali proibitive e punitive sui prodotti esteri concorrenziali con quelli interni. Praticato da qusi tutti i maggiori paesi (ad eccezione dell'Inghilterra, rimasta fedele, in forza della propria leadership commerciale, al principio di lebero scambio), il protezionismo agrario ed industriale si rivela efficace nell'incoraggiare le imprese nazionali che producono per il mercato interno, favorendo il decollo dei paesi più arretrati.
L'attenzione degli stati si rivolge anche al settore sociale, ponendo le basi di ciò che ancora oggi chiamiamo Welfare State, lo stato assistenziale. Passano gradualmente sotto il controllo degli apparati statali intere sfere di attività come l'igiene e la sanità pubblica, l'istruzione primaria, la regolamentazione delle condizioni di lavoro, l'assicurazione dei lavoratori contro gli infortuni, malattie e vecchiaia, la gestione dei servizi e forniture urbane (trasporti, luce, gas acqua). Le spese che una tale estensione di compiti comporta vengono fronteggiate tramite una modificazione del sistema fiscale, che prevede l'introduzione, accanto alle imposte indirette sui consumi, della tassazione diretta sui redditi, sui patrimoni e sulle successioni ereditarie, seconod un criterio progressivo che mire a pesare maggiormente sulle fasce più ricche.

Lezione 3: L'alternanza tra liberali e conservatori in Inghilterra

Il rapporto tra aggressività coloniale in politica estera e modernizzazione istituzionale in politica interna segna in profondità la vita delle nazioni. Il governo conservatore Salisbury-Chamberlain, alla guida della Gran Bretagna a cavallo del secolo, propone una linea fortemente imperialista in politica estera, e conferisce alla politica internas uno spiccato orientamento conservatore. Nel paese si vanno acutizzando i contrasti sociali, per atttenuare i quali Joshep A. Chamberlain propone nel 1905 di costituire un'unione doganale tra la Gran Bretagna e i territori del suo impero. Ma la svolta protezionistica incontra lo sfavore generale, aprendo la strada del ritorno al governo dei liberali. Nelle elezioni del 1906 questi ultimi conquistano una salda maggioranza alla Camera dei Comuni e sono appoggiati dal neocostituito Labour Party, che, a somiglianza dei partiti socialisti continentali, rappresenta le istanze del mondo del lavoro.

Presieduti dai liberali Henry Campbell-Bannermann (1906-1908 ) e da Herbert Asquit, i governi di coalizione lib-lab (liberali-laburisti) pongono mano, in accordo coi sindacati, a una imponente legislazione sociale: riduzione degli orari di lavoro, sistema previdenziale pubblico, pensioni e assicurazioni sanitarie. Il conseguente aumento della spesa pubblica, unito agli oneri derivanti dal riarmo navale e dalla riforma dell'esercito, induce il ministro dele finanze David Lloyd George a instaurare un nuovo sistema fiscale, che accentua la pressione delle imposte sulle fasce più alte di reddito. Il bilancio di previsione del 1909, ispirato a tali criteri, è perà respinto dalla Camera dei Lord, a maggioranza conservatrice. Segue una grave crisi istituzionale, conclusasi a favore dei liberali con l'approvazione nel 1911 del Parliament Act che priva del potere di veto la Camera dei Lord.

Nel 1912 Asquith propone un progetto di autonomia dell'Irlanda del Nord, il cosidetto Home Rule per risolvere l'antico conflitto tra i protestanti unionisti dell'Ulster, favorevoli al mantenimento dei legami con Londra, e i cattolici irlandesi indipendentisti, riuniti a partire dal 1905 nel Partito radicale Sinn Fein (in gaelico "noi stessi"). La tensione è così forte che alla vigilia della prima guerra mondiale l'isola si trova sull'orlo della guerra civile. La forza del movimento sindacale inglese, organizzato dalle Trade Unions e legato da un organico rapporto di rappresentanza politica con il Partito Laburista, costituisce un potente fattore di spinta per la democratizzazione della società britannica e la modernizzazione del suo sistema istituzionale. Il rafforzamento della Camera dei Comuni produce le condizioni perchè tale processo avvenga senza particolari traumi e senza rotture degli equilibri interni.

Approfondimento
Il Suffragismo
Nell'ultima parte del XIX secolo nascono in diverse città inglesi associazioni che si battono per il diritto di voto alle donne. Il movimento suffragista si sviluppa soprattutto in Gran Bretagna e Stati Uniti, dove il suffragio universale femminile verrà adottato negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale. Nel 1903 a Manchester Emeline Pankhurst fonda l'Unione politica e sociale delle donne, che per la prima volta sceglie la via dell'attivismo politico diretto. Attraverso manifestazioni pacifiche, le "suffragette" operano una crescente pressione sul sistema politico sia inglese che americano. Ma sarà solo il maggior ruolo pubblico delle donne nella congiuntura bellica (quando sostinuiranno gli uomini richiamati al fronte in molti rami di attività) a determinare infine le condizioni per un pieno riconoscimento dei loro diritti politici.

Lezione 4: Francia, Belgio e Olanda

In Francia la vita della Terza Repubblica, proclamata nel 1870 in un'Europa ancora dominata da re e imperatori, è segnata da forte instabilità. Nei primi anni del secolo, il processo ad Alfred Dreyfus (accusato ingiustamente di aver rivelato segreti militari alla Germania) si ritorce contro i suoi accusatori, favorendo la vittoria dei progressisti schierati con il capitano ebreo a torto condannato per spionaggio. A ciò contribuisce la famosa lettera dal titolo "j'accuse" (1898 ) dello scrittore Emile Zola. Il nuovo esecutivo guidato dal radicale Pierre Waldeck-Rousseau è appoggiato da una coalizione di sinistra che comprende anche il socialista Alexandre Millerand. Sull'onda del proprio successo, lo schieramento repubblicano affronta di petto il problema dei raporti tra stato e chiesa. Nel 1902 Waldeck-Rousseau si dimette in polemica con le tendenze anticlericali più intransigenti, ma il suo successore Emile Combes imposta una politica avversa alla chiesa cattolica, con misure restrittive nell'ambito dell'insegnamento religioso. Nel 1904 la rottura delle relazioni diplomatiche con il vaticano prelude alla separazione fra stato e chiesa, sancita per legge l'anno successivo. Questa linea non soddisfa però le richieste di riforme sociali dei socialisti, che nel 1905 ritirano l'appoggio al governo, rompendo l'unità delle sinistre. Tra il 1906 e il 1911 si avvicendano i governi di Georges Clemenceau, radicale, e Aristide Briand, transfuga dal Partito Socialista, che reprimono le agitazioni sindacali promosse dalla confederazione generale del lavoro e intervengono con provvedimenti limitati sulla legislazione sociale.
Nel primo decennio del secolo la Francia è così caratterizzata dall'instabilità politica. I conservatori e nazionalisti guidati da Raymond Poincarè (presidente nel 1913) riprendono slancio; si oppone loro il movimento operaio, pacifista e antimilitarista, che ha il suo leader in Jean Jaurès. Le elezioni politiche del 1914, dominate dalle prteste popolari contro l'aumento delle imposte indirette e il prolungamento della leva da due a tre anni, ribaltano il risultato dell'anno prima e riportano al governo i socialisti e i radicali, guidati dal socialista indipendente René-Raphaèl Viviani.

Un precoce sviluppo industriale e lo sfruttamento delle colonie del Congo e dell'Indonesia favoriscono in Belgio e in Olanda una situazione di relativa prosperità. Le tensioni sociali derivanti dalla compresenza di diverse confessioni religiose vengono contenute da un solito impianto costituzionale. I partiti socialdemocratici sono in competizione con quelli confessionali, ma senza pregiudicare la stabilità del sistema democratico: la spinta convergente delle organizzazioni operaie, socialiste e confessionali, porta all'adozione del suffragio universale maschile: in Belgio nel 1893, in Olanda nel 1917.

Approfondimento
Les Demoiselles d'Avignon
Nel 1907 il pittore spagnolo Pablo Picasso dipinge a Parigi una tela che segna una svolta nella storia della pittura. Il suo modello compositivo è costituito dalla Cinque Bagnanti di Paul Cézanne, ma la nuoca concezione delle figure femminili picassiane rinvia alla scultura negra ed egiziana. Il progetto iniziale del quadro prevedeca sette figure: cinque donne e due uomini ritratti all'interno di un postribolo. In corso d'opera Picasso ne corregge l'impianto compositivo e altera la strttura formale. Riconosciuto come il primo dipinto cubista, Les Demoiselles d'Avignon presenta figure ridotte a forme geometriche elementari: per raffigurare il viso Picasso si ispira alla cultura romanico-catalana e africana, mentre i diversi elementi del corpo umano sono scomposti sulla superficie della tela. Il quadro rivela, nella sua assoluta originalità, una idea della creazione artistica che farà dire a Georges Braque (uno dei più rappresentativi pittori dell'avanguardia cubista) che Pablo Picasso in quell'occasione si era messo a "bere benzina e sputare fuoco".

Lezione 5: Italia, Spagna e Portogallo

In Italia il nuovo secolo si presenta nel segno del decollo dello sviluppo industriale, avvenuto (come quello tedesco) in ritardo rispetto a Gran Bretagna e Francia. La figura di Giovanni Giolitti domina la scena politica e sociale dell'epoca, spesso definita "età giolttiana". Fondata su un'adesione elastica ai principi del liberalismo, la politica di Giolitti mira soprattutto a una vasta convergenza di forze parlamentari attorno a un programma cautamente riformista. In cambio di una limitata legislazione sociale e un atteggiamento di relativa tolleranza nei confronti delle agitazioni sindacali, Giolitti ottiene la benevolenza dell'ala riformista del Partito socialista guidata da Filippo Turati (che però declina l'invito ad entrare nel governo); in sede elettorale, non esita a ricorrere all'apporto dei cattolici e a mantenere il baricentro dell'azione di governo entro i limiti di una sostanziale conservazione, favorevole ai grandi gruppi idnustraili. In questo senso, alle innovazioni del periodo iniziale di governo (il riconoscimento di fatto al diritto di sciopero, la municipalizzazione dei servizi pubblici, l'adozione nel 1912 del suffragio universale maschile) corrispondono ripiegamenti in senso autoritario e antipopolare: il frequente spargimento di sangue nei conflitti sociali (soprattutto nel Mezzogiorno) e la ripresa dell'espansione coloniale con la guerra per la conquista della Libia, combattuta nel 1911-1912.

Nel clima di relativa tolleranza instauratosi in questi anni, favorito anche dal rapido processo di industrializzazione d'inizio secolo, il movimento operaio conosce una notevole espansione, anche se è caratterizzato da una scarsa coesione, sia per l'eterogeneità e la scarsa qualificazione professionale delle classi lavoratrici italiane, sia per la tendenziale inconciliabilità tra le tendenze riformiste e quelle radicali presenti all'interno del movimento sindacale. Sulla scorta della sciopero generale proclamato nel 1904 contro gli eccidi compiuti dalle forze dell'ordine, si giunge nel 1906 alla fondazione della Confederazione generale del lavoro (CGL) che unifica le Camere del lavoro locali e le diverse federazioni di mestiere.

Nello stesso tempo, attorno alla figura del sacerdote Romolo Murri si coagula la spinta per una partecipazione dei cattolici alla vita politica, dopo che la conquista militare di Roma (1870) aveva provocato la rottura delle relazioni tra stato e chiesa, e dopo che la direttiva papale del "non expedit" (non conviene) aveva vietato ai cattolici italiani di fare politica. Rimane l'opposizione di papa Pio X, che scomunica Murri perchè eletto deputato con l'appoggio delle sinistre. Ma con l'accordo del 1913, in occasione delle prime elezione a suffragio universale (il cosiddetto "patto Gentiloni"dal nome del presidente dell'Unione elettorale cattolica), si formalizza il sostegno politico ai candidati liberali.
A partire dalla svolta espansionista inaugurata con l'impresa di Libia, prende forza nel paese una corrente nazionalista (nel 1910 Alfredo Rocco fonda l'Associazione nazionalista italiana), agganciata agli interessi dell'industria pesante, che farà sentire con vigore la propria voce interventista in occasione dello scoppio della prima guerra mondiale. Nel Partito socialista prevalgono invece correnti più intransigenti e massimaliste, guidate da Giacinto Menotti Serrati e Benito Mussolini. Riviste come "il Regno" di Enrocio Corradini organizzano la reazione antipositivista e irrazionalista fondata sul mito dell'italia proletaria destinata allo scontro con le altre nazioni europee, più vecchie e più ricche. Alle sogli del primo conflitto mondiale, l'età giolittiana volge dunque al tramonto in un atmosfera di accentuata polarizzazione e contrapposizione.

In Spagna la perdita degli ultimi possedimenti coloniali nella guerra contro gli USA (1898) porta al potere i conservatori. Il quadro socio-economico del paese è segnato da profonde ineguagliaze: alla vitalità della Catalogna (dove si afferma una prima industrializzazione leggera che ha per baricentro Barcellona) fa riscontro l'immobilismo di gran parte del resto del paese, dominato dal clero, dall'aristocrazia terriera e dalla casta militare. Alla svolta autoritaria si contrappongono un vivace movimento operaio, con una forte componente anarchica, e la crescita di tendenze autonomistiche, specie in Catalogna, dove un'insurrezione è repressa nel sangue (1909) con una brutalità tale da suscitare le reazioni dei partiti moderati e mettere in crisi il governo conservatore di Antonio Maura. Il nuovo leader liberale, Josè Canalejas, si fa allora promotore di una stagione di riforme, che sarà brutalmente interrotta dal suo assassinio, per mano di un anarchico, nel 1912.

In Portogallo, il cui regime parlamentare è più formale che sostanziale, la vita politica si incentra sul duro scontro tra monarchici e forze progressiste. le tensioni culminano nel 1908, quando il re Carlo I viene ucciso. Nel 1910 le sinistre conquistano il pitere attraverso un'insurrezione, proclamano la repubblica e danno il via a una politica riformista, che porta alla separazione tra stato e chiesa. Non riuscendo tuttavia ad allargare il proprio consenso, il governo repubblicano ricorre a misure repressive nei confronti dell'opposizione monarchica e di quella sindacale. GLi anni seguenti vedono il rapido susseguirsi di governi diversi e confermano l'instabilità del sistema politico portoghese.

Lezione 6: La Germania Guglielmina e i Paesi Scandinavi

Il nuovo imperatore tedesco Guglielmo II sale al trono nel 1888. Di carattere impulsivo e autoritario, egli instaura una sorta di regime personale favorendo la caduta di Otto von Birsmark (1890). Il nuovo cancelliere, Leo Von Caprivi, è un generale di orientamento moderatamente liberale, ostile ad una politica di avventure coloniali e fautore di un nuovo equilibrio interno basato sul consenso e su una cauta legislazione sociale, da attuarsi con l'accordo della socialdemocrazia.
Il Neuer Kurs di Caprivi contrsta però con gli intendimenti dell'imperatore, che nel 1894 lo sostituisce col più arrendevole Chlodwing Von Hohenlohe (1894-1900).
Guglielmo può così imprimere una decisa accellerazione alla politica estera tedesca, per dare alla Germania (seconod una celebre formula del ministro degli esteri tedesco) un "posto al sole" ma anche acquisirle, mediante una Weltpolitik (politica mondiale), il ruolo di grande potenza continentale e coloniale.

Sotto i cancellierati di Bernhard Von Bulow (1900-1909) e Theobald Von Bethmann-Holweg, entrambi ligi al volere del Kaiser, viene favorito un nazionalismo esasperato, che assume la forma del pangermanesimo, cioè dell'aspirazione all'unione di tutti i popoli di stirpe tedesca in una "grande Germania", estesa verso Oriente a spese dei polacchi e dei russi. Assecondando le pressioni della finanza e dell'industria pesante, Guglielmo II accentua il carattere militarista e autoritario, oltre che imperialista, del sistema politica tedesco. Si verifica così la progressiva emarginazione del Partito Socialdemocratico, che continua tuttavia la sua ascesa elettorale, fino a raggiungere nel 1912 il 35% dei voti, divendndo il primo partito del Reichstag. Ma il potere della Camera bassa viene costantemente aggirato e neutralizzato dal poderoso blocco di potere formato dalla camera alta, dal governo dai vertici dell'esercito e dalla carte imperiale.

Negli ultimi decenni dell'Ottocento si apre un serio contrasto tra Svezia e Norvegia a causa della rapida industrializzazione svedese e delle continue pressioni a favore della politica protezionistica. La Norvegia necessita invece di un regime di libero scambio, perchè la sua economia si fonda sulle risorse naturali (Pesca e Legname). Nel 1905 quest'ultima si separa pacificamente dalla Svezia. I buoni rapporti reciproci contribuiscono a consolidare le istituzioni democratiche in entrambi i paesi, caratterizzati da una attiva vita parlamentare. In Svezia l'allargamento del suffragio e il sistema elettorale proporzionale sono concessi nel 1907, dopo una tenace resistenza opposta dal governo conservatore. Nel 1911 le elezioni danno la vittoria alle sinistre e l'esecutivo del liberale Karl A. Staaf, sostenuto dal forte Partito socialdemocratico fondato nel 1899, pone mano a un avanzato programma di riforme sociali. L'esecutivo è messo in crisi nel 1914 da una violenta campagna della destra nazionalista, che lo accusa di trascurare le spese militari. Ma allo scoppio della prima guerra mondiale il gabinetto moderato che ne prende il posto, presieduto da Hjalmar Hammarskjold, proclama la neutralità del paese. In Norvegia, dopo l'indipendenza, viene scelta con un plebiscito la monarchia costituzionale. Il principe carlo di Danimarca, chiamato al trono con il nome di Haakon VII (1907), mantiene la neutralità del paese durante il conflitto mondiale, garantendo un notevole grado di prosperità. Anche qui il movimento operaio si integra positivamente col sistema politica, e ne l 1913 un governo di coalizione, comprendente il Partito laburista, estende alla donne il suffragio universale alle donne, in vigore per gli uomini fin dal 1898. Il teatro del norvegese Henrik Ibsen (Casa di Bambola, 1879, e gli Spettri, 1881) e dello svedese August Strindberg (Il padre, 1887, e la Signorina Giulia, 1888), aprendosi alle tematiche sociali, crea nuove prospettive nel rappoorto tra arte e impegno civile.

Fra le conseguenze della sconfitta subita nella guerra cin la Prussia nel 1864 si ha in Danimarca una revisione costituzionale in senso conservatore, che ritarda sino alla fine del secolo l'affermazione di un compiuto sistema parlamentare. Il notevole sviluppo economico e sociale del paese favorisce però la formazione di una spiccata coscienza di classe. Agli inzi del Novecento la sinistra socialdemocratica e radicale, acquisiti maggiori consensi, avvia una serie di riforme, tra le quali la più significativa è la limitazione dei poteri della camera alta e l'introduzione nel 1915 del suffragio universale per i cittadini di entrambi i sessi.

Lezione 7: L'impero austro-ungarico e la Russia zarista

Tra gli imperi europei, quello austro-ungarico è contraddistinto da un precarei equilibrio multinazionale che entra in aperta crisi nell'ultimo decennio del XIX secolo. I "Giovani Cechi" -l'ala radicale del movimento nazionalista ceco- ottengono nel 1891 un grande ed inatteso successo elettorale nella Dieta boema. La loro richiesta di equiparare il ceco al tedesco come lingua ufficiale, accolta dal primo ministri Kasimir Badeni, suscita la violenta protesta della componente tedesca, anch'essa animata da forte nazionalismo e incline all'unione politica con la Germania. Ne deriva uno stato di tensione che culmina nel 1898 con la provlamazione dello stato di assedio e la revoca del bilinguismo, poi regolamentato nel 1905.

In Cisletania (la parte più propriamente austriaca dell'impero, ad ovest del fiume Lajta) lo sviluppo dei moderni partiti politici (liberale, cristiano-sociale e, dal 1888, il socialdemocratico) è condizionato dalle questioni nazionali. Solo i socialdemocratici di Viktor Adler sostengono la necessità di concedere uguali diritti a tutte le nazionalità, mentre le altre forze politiche oppongono un netto rifiuto alla richieste delle etnie tedesche. I contrasti interetnici costituiscono un potente fattore di discgregazione, senza però minacciare l'integrità dell'IMpero. Neppure il nazionalismo ceco infatti avanza richieste di indipendenza, limitandosi a perseguire una maggiore autonomia. La situazione delle nazionalità si fa invece sempre più grave nella parte ungherese dell'Impero, la cosiddetta Transleitania, dove la maggiore omogeneità dei gruppi etnici non magiari ne favorisce la tendenza a unificarsi contro l'assorbimento da parte della più progredita Ungheria. Agli inizi del Novecento un contenzioso, aperto da quest'ultima con la corona per il consegukmento della piena autonomia, si conclude con un accordo che evita l'estensione del suffragio in Transletania, e consente a Vienna di mantenere il controllo del Parlamente di Budapest.

Si intensificano intanto le pressioni delle altre nazionalità, in particolare dei croati. Il disegno di una "grande Croazia" dall'Adriatico al Danubio, o di uno stato jugoslavo federato all'impero sembra realizzarsi nel 1908 con l'annessione della Bosnia-Erzegovina. Ma questo suscita la reazione dei serbi, fautori a loro volta di una "grande Serbia", mentre infine istanze panslaviste si diffondono -a completare il "ginepraio balcanico" delle nazionalità- anche tra i cechi. Si delinea quindi un quadro di tensioni che vede l'impero di Francesco Giuseppe contrassegnato da una condizione di continua precarietà e profonda crisi interna.

In Russia l'impero dello Zar è in uno stato di profonda arretratezza. Benechè nel 1861 la servitù della gleba sia stata formalmente abolita, in molte zone i contadini versano ancora in condizioni quasi feudali. Queste caratteristiche fanno da sfondo alla crescita delle opposizioni clandestine allo zarismo. Nelle campagne ottiene vasti consensi il partito socialista rivoluzionario, che propugna la collettivizzazione delle terre, mentre fra gli operai si fa strada il partito socialdemocratico, nato nel 1898. Quest'ultimo, nel congresso del 1903, si divide tra menscevichi ("minoritari"), fautori di una politica riformista da attuarsi con il consenso popolare, e i bolscevichi ("maggioritari"), assertori della necessità di accellerare il processo rivoluzionario e di portare direttamente il popolo al potere. Dalla fusione del partito liberale e di quello costituzionalista nasce infine il partito dei "cadetti", favorevole a un regime parlamentare e all'autodeterminazione della nazionalità. La politica di sviluppo industriale, avviata all'inizio del secolo dal ministro della finanza Sergej J. Vitte, provoca i malumori delle classi più agiate, allarmate dal crescente diffondersi della protesta operaia: ciò induce lo zar Nicola II a congedarlo, senza comunque riuscire ad attenuare le tensioni.

La guerra contro il Giappone (1904-1905), intrapresa anche allo scopo di distogliere l'opinione pubblica dalla situazione interna, si conclude con una bruciante sconfitta delle forze zariste. A seguito della disfatta scoppia nel paese e nello stesso esercito la scintilla dell'insubordinazione. Nel 1905 a Pietroburgo le truppe zariste aprono il fuoco contro un corteo di dimostranti (la cosiddetta "domenica di sangue"). E' un colpo decisivo per il prestigio della monarchia e scatena un'ondata di scioperi nelle principali città. Le concessioni a cui è costretto a piegarsi lo zar (libertà di stampa, riunione e associazione, costituzione della Duma, cioè di un parlamento elettivo) sono accolte con favore dalla componente moderata, ma rigettate da bolscevichi e socialisti rivoluzionari. Le elezioni attribuiscono maggioranza al Partito dei "cadetti", che non riesce però a varare incisive riforme.

Un crescendo d misure repressive viene allora adottato dal governo di Petr Stolypin, che scioglie a più riprese la Duma, ottenendo il risultato di mettere in minoranza le componenti rivoluzionarie. Una cauta riforma agraria viene comunque impostata da Stolypin fra il 1906 e il 1910, al fine di favorire lo sviluppo di piccoli e medi proprietari, frantumando le proprietà collettive delle comunità contadine, chiamate "mir". Tuttavia nelle campagne seguita a dominare una diffusa, secolare miseria. Lo stesso Stolypin è ucciso nel 1911 da un socialista rivoluzionario e un nuovo ciclo di scioperi operai è represso nel sangue nel 1912-1913.

Lezione 8: La decadenza dell'impero ottomano

A cavallo fra i due secoli si consuma, non senza conseguenze per l'intero assetto europeo, l'inarrestabile declino dell'impero ottomano. Già nel corso del XIX secolo, estenuato dalle continue guerre sostenute ed indebolito dalla crisi delle sue strutture militari, l'impero aveva visto una riduzione notevole della sua superficie, entrando in una lunga fase di decadenza.
Malgrado lo sforzo di conciliare la componente musulmana con quella non musulmana e di modernizzare l'esercito, l'eterogeneità etnica e religiosa dell'impero ha effette potentemente disgregatori. Dopo la guerra di Crimea (1854-1856) il paese ha subito la penetrazione economica europea, che ha favorito tendenza liberali e filoccidentali. Il tentativo di dotare l'impero di un apparato parlamentare e costituzionale, compiuto dal sultano Abdul Hamid II asceso al trono nel 1876, viene interrotto dalla guerra con la russia. Le truppe ottomane sono sopraffatte dalle armate zariste che avanzano nel Caucaso e nei Balcani, arrivando a minacciare Costantinopoli. Il trattato di Santo Stefano e il successivo congresso di Berlino -entrambi del 1878- sanciscono la perdita di Serbia, Montenegro, Bulgaria, Romania e Bosnia-Erzegovina. Il sultano abroga la Costituzione concessa due anni prima e instaura un regime di rigido ed ottuso assolutismo.

La spinta centrifuga delle nazionalità balcaniche viene alimentata dai contrastanti interessi di Russia, Austria e Prussia, con il risultato di indebolire ulteriormente il potere della "sublime porta" e di diffondere spinte rivoluzionarie nel paese. Una congiura democratica fallisce nel 1889. Ma una forte organizzazione liberale clandestina, di orientamento occidentalizzante, si viene formando nell'ambiente dei quadri militari. Nel 1908 i "Giovani Turchi" -questo il nome dell'organizzazione che si raccoglie nel partito "Unità e progresso"- organizzano a Salonicco un'insurrezione che impone al sultano di ripristinare la costituzione e di convocare il parlamento.
Giunti al potere, i Giovani Turchi, guidati dall'ufficiale dell'esercito Mustafa Kemal e sostenuti dalla borghesia degli affari e delle professioni, abbandonano però la linea liberale a favore di un deciso nazionalismo, che riaccende i contrasti interetnici. I Giovani Turchi scelgono la via nazionalista della competizione militare con le grandi potenze europee e della ricostruzione di un forte potere centrale, capace di porre fine alle spinte centrifughe. Ma, tra il 1911 e il 1913, la sconfitta subita in Libia a opera dell'Italia e le due guerre balcaniche privano la Turchia di quasi tutti i possedimenti europei, riducendola in pratica alla sola parte orientale. L'alleanza con la Germania, perseguita come possibile via di salvezza, si traduce invece nella disastrosa sconfitta della prima guerra mondiale che segna la scomparsa dell'Impero Ottomano.

Lezione 9: La Cina e l'espansionismo giapponese

Mentre gli stranieri dominano i settori vitali dell'economia (miniere, commerci, ferrovie), la Cina avvia timide riforme: nel 1898 il "movimento dei cento giorni", promosso dall'imperatore Guangxu, cerca di rimodernizzare il sistema scolastico e accellerare lo sviluppo ferroviario del paese. La reazione delle caste dirigenti, contrarie all'abolizione di privilegi millenari, vanifica però tali sforzi.

In risposta alle ingerenze straniere e alla perdita di sovranità del paese, cresce un forte movimento di protesta contro gli occidentali. Tra il 1900 e il 1901 infuria la rivolta dei Boxer, organizzata da una setta xenofoba di tipo religioso che annovera tra le sue pratiche rituali la boxe. I Boxer (o Boxeur, per dirla alla francese) attaccano le ferrovie, le missioni cristiane e le ambasciate straniere a Pechino, suscitando allarme e la furiosa reazione delle potenze occidentali, che soffocano nel sangue la rivolta.

In quegli anni cresce il movimento di intellettuali e borghesi, di ispirazione repubblicana e favorevoli a una modernizzazione istituzionale e sociale della Cina- che si batte per la cacciata dell'agonizzante dinastia Manciù (che avverrà nel 1911). Sun Yatsen, fondatore del Guomindang (partito del popolo), formatisi alla scuola della tradizione democratica europea, presenta un programma incentrato su tre "principi del popolo": Autonomia nazionale, democrazia politica, uguaglianza sociale. Il leader conciglia così l'aspirazione all'indipendenza con quelle della democrazia e alla giustizia sociale, da attuarsi mediante la distribuzione delle terre ai contadini. Dopo che nel 1911 un moto insurrezionale rovescia l'imperatore bambino Pu Yi, ultimo della dinastia Manciù, all'inizio del 1912 Sun Yatsen proclama la prima repubblica cinese.

In Oriente un altro protagonista si affaccia alla ribalta del mondo, nel segno di una dinamica intraprendenza in politica estera. E' il Giappone, riformato dalla cosiddetta modernizzazione Meiji (Dal nome assunto imperatore, che significa "governo illuminato") e fautore di aspirazioni espansionistiche contro Russia e Cina. L'occupazione russa della Manciuria e di Port Arthur, un porto sul Pacifico, libero dai ghiacci, fa scoppiare il conflitto del 1904-1905. Deciso e spregiudicato, il Giappone apre all'improvviso le ostilità: l'assedio di Port Arthur, la battaglia di Mukden, il conflitto navale di Tsushima si risolvono in schiaccianti vittorie per le forze nipponiche. La pace di Portsmouth (5 settembre 1905) sancisce il possesso giapponese di Port Arthur, di metà dell'isola di Sachalin e della ferrovia della Manciuria meridionale. E soprattutto segna la prima, sorprendente vittoria di un popolo extraeuropeo contro una delle maggiori e più antiche nazioni europee.

Approfondimento
Il Giappone si modernizza
La restaurazione del potere imperiale contro la Shogun (cioè il reggente militare) segna l'avvio della modernizzazione giapponese: l'abolizione delle servitù feudali (1871), l'istituzione dell'istruzione obbligatoria (1872), la coscrizione obbligatoria (1873) e la riforma fiscale (1873) sono i tratti salienti della riforma. Nel 1989 l'imperatore Mutsushito concede una Costituzione, ricalcata sul modello tedesco, che tuttavia limita l'esercizio dei diritti civili ad una esigua minoranza, pari a circa l'un per cento dell'intera popolazione del Giappone. Il bilancio dello stato viene impiegato, quasi per la metà, per il potenziamento dell'esercito, che diventa rapidamente uno dei maggiori fattori di potere politico ed istituzionale.

Lezione 10: L'Africa coloniale e il conflitto anglo-boero

Anche il continente africano non rimane immune dai conflitti che si scatenano fra le potenze imperialistiche. Al disegno britannico di conglobare tutti i popoli dell'Africa australe in una grande unione sudafricana si oppongono i boeri, coloni olandesi che negli anni precedenti hanno creato gli stati sudafricani dell'Orange e del Transvaal.

I propositi inglesi si rafforzano negli ultimi decenni dell'ottocento, quando l'abile uomo d'affari Cecil Rhodes estende il dominio inglese sulle ricchissime regioni che costituiranno poi la Rhodesia, accerchiando le repubbliche boere. La politica imperialistica di Rhodes, divenuto nel 1890 primo ministro della colonia del Capo, porta d'apprima a un'aggressione al Transvaal, respinta dai boeri, poi alla guerra anglo-boera, dichiarata nel 1899 dal presidente del Transvaal Paul Kruger.

Il conflitto vede all'inizio vittoriosi i boeri , ma gli inglesi, grazie all'invio di massicci rinforzi e a prezzo di altissime perdite (22.000 morti) constringono infine i capi boeri a chiedere la pace il 31 maggio 1902 (Vereeniging. Con l'incorporazione delle due repubbliche boere al Sudafrica, la Gran Bretagna raggiunge l'apogeo: più di un quarto dell'umanità è sotto il dominio dell'Union Jack). La guerra suscita in Inghilterra un'ondata nazionalistica ed accende un corrispettivo sdegno antibritannico in Francia e Germania. Alla conclusione del conflitto il Transvaal e l'Orange vengono uniti agli altri possedimenti inglesi, con i quali formeranno nel 1910 l?unione Sudafricana. Con alcune isole di indipendenza (come l'Abissinia del negus Menelik, che nel 1896, ad Adua, aveva respinto il tentativo di penetrazione italiano) l'intero continente africano viene assoggettato alla dominazione delle potenze europee. La Gran Bretagna ha i principali possedimenti in Egitto e nell'Unione Sudafricana, la Francia nella fascia mediterannea che comprende Marocco ed Algeria, il Belgio in Congo, la Germania in Togo, Camerun e Tanzania, il Portogallo in Angola e Mozambico, l'Italia in Libia e Somalia.

In forma più o meno diretta, le amministrazioni coloniali ottengono la collaborazione delle elites locali, disposte a prendere parte ai conflitti che scoppiano tra gli stati per la conquista e lo sfruttamento delle risorse naturali.

Lezione 11: Gli Stati Uniti: una grande potenza industriale

All'inizio del secolo gli Stati Uniti sono una grande potenza industriale ed entrano a pieno titolo tra i protagonisti della scena mondiale. Sorti poco più di un secolo prima come periferia agricola di un sistema commerciale mondiale il cui centro metropolitano era l'Europa, sono ormai divenuti il più ampio e dinamico motore della seconda rivoluzione industriale.
Con un'ampia popolazione in rapida crescita (92 milioni nel 1910, grazie anche a un flusso massiccio di immigranti provenienti dall'Europa meridionale e orientale), un enorme territorio ricco di risorse e un mercato interno di proporzioni continentali (che consente grande specializzazione e produzioni su vasta scala) gli USA hanno l'apparato produttivo più concentrato ed efficente al mondo. Ai primi del novecento la loro potenza commerciale è seconda solo a quella britannica. La loro produzione siderurgica a quelle di Gran Bretagan e Germania messe insieme. Nel 1913 gli Stati Uniti sfornano il 36% dell'intera produzione industriale del mondo, e iniziano a esportare capitali, con crescenti investimenti nell'America centrale e negli scambi con l'Asia.

Con la guerra vittoriosa contro la Spagna nel 1898 gli Stati Uniti ottengono il controllo dei Caraibi e delle Filippine: la costruzione del canale di Panama (1905-1914) apre la via alla loro preminenza sui due oceani; l'attivismo diplomatico di presidenti come Theodore Roosvelt (1901-1909) li porta alla ribalta come grande potenza internazionale. Gli Stai Uniti partecipano pienamente dello spirito di espansione imperiale che in questi anni anima i grandi stati europei, e costruiscono una propria esclusiva sfera d'influenza nelle Americhe. Ma la loro espansione non è tanto territoriale quanto commerciale e finanziaria, e con la dottrina della Porta Aperta (1900) Washington manifesta l'intenzione di giungere a un mondo non di possedimenti coloniali ma di mercati aperti, basato sulle regole della libera concorrenza, in cui si affermino i prodotti più competitivi.
Ciò deriva sia dalle origini anticoloniali della nazione, sea da una lucida visione dei propri interessi futuri. Un'agricoltura fortemente meccanizzata da agli Stati Uniti il primato della produzione di beni alimentari. Nella siderurgia, nel trasporto ferroviario, nella meccanica, nella produzione di carbone e petrolio, e nelle industrie nascenti dell'elettromeccanica e della chimica alcune imprese di proporzioni colossali (primi esempi della moderna azienda manageriale integrata) dominano il mercato interno e iniziano a esportare su larga scala. Un'avanzata ricerca tecnologica, l'adozione di sistemi meccanizzati per la produzione in serie, un sistema distributivo moderno e innovativo e un apparato finanziario altamente concentrato pongono gli USA alla testa della corsa verso la moderna società industriale.

La società americana vive un periodo di tumultuoso mutamento. Con l'avvenuta colonizzazione si è ormai chiusa la "frontiera dell'Ovest": è ora la moderna società urbana ed industriale a definire il carattere della nazione. Alcune città diventano vere metropoli (nel 1900 New York ha 3,5 milioni di abitanti; Chigaco 1,7 milioni), dove alla concentrazione di ricchezza e a una estesa classe media agiata impiegatizia e professionale si contrappone una massa di operai e manovali, per lo più di recente immigrazione e spesso assai povera. I conflitti di lavoro sono aspri e assai frequenti, e se i movimenti socialisti restano ben più deboli che in Europa, i sindacati operai divengono robusti organismi di difesa economica dei propri iscritti, in particolare dei lavoratori più qualificati.
Le disuguaglianze economiche si intrecciano con quelle etniche, religiose e razziali. I nuovi immigrati (circa 23 milione nel periodo 1880-1920, di cui ben 9 milioni solo nel periodo 1910-1920) sono ebrei o cattolici provenienti dall'Europa orientale o meridionale, per lo più di orgini contadine, e verso di loro le élites e le classi medie protestanti avviano un'intensa opera di "americanizzazione" culturale e linguistica che è anche uno sforzo di nazionalizzazione del paese. Nel Sud, ancora eminentemente agrario, gli afroamericani non sono più schiavi, ma sono rigidamente segregati, privati dei diritti politici e ferocemente disciplinati, spesso con la violenza dei linciaggi, dalla società bianca che domina sia l'economia che la politica.

A dispetto di questa netta delimitazione razziale, il sistema politico americano risulta più avanzato che in Europa, visto che i maschi bianchi godono da tempo del siffragio universale, ma proprio nei primi decenni del secolo è messo in discussione su vari fronti. Forti movimenti femminili rivendicano il diritto di voto, che le donne otterranno solo nel 1919. I due grandi partiti politici, repubblicano e domocratico, vedono contestato il proprio controllo clientelare sulle risorse pubbliche da parte delle élites economiche e professionali, che riescono ad avviare una trasformazione in senso manageriale della pubblica amministrazione. Nelle città e nelle metropoli ciò produce nuove normatice urbanistiche ed igieniche, volte a disciplinare gli effetti più caotici e deleteri dell'industrialismo. Vengono sperimentate anche le prime misudre di protezione sociale e di regolamentazione del lavoro. Sul piano nazionale, il timore di un'eccessiva concentrazione del potere economico in pochi grandi gruppi industriali e finanziari stimola nuove forme di controllo statale sui monopoli, e il ruolo del governo federale diviene più incisivo in molti dei settori della vita finanziaria.


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