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DIRITTO PENALE ITALIANO
di
Matteo Virtual

Lezione 1: Legittimità della pena

La domanda che ci si pone parlando di pena è: che cosa legittima il ricorso dello stato all’arma della pena?
La risposta a questi interrogativi viene offerta dalla teoria
delle pena, che possono essere ricondotte a tre filoni:

a)Secondo la teoria retributiva la pena statuale si legittima come un male inflitto dallo stato per compensare il male che un uomo ha inflitto a un altro uomo o alla società. Questa teoria viene designata come assoluta: svincolata cioè da un qualsivoglia fine da raggiungere.
Assegnano invece uno scopo alla pena le teorie preventive, che proprio in relazione alla loro caratteristica vengono designate come relative.

b)La teoria generalpreventiva legittima la pena come mezzo per orientare le scelte di comportamento della generalità dei suoi destinatari: in primo luogo facendo leva sugli effetti di intimidazione.

c)La teoria specialpreventiva concepisce la pena come strumento per prevenire che l’autore di un reato commetta in futuro altri reati. E questa funzione può essere assolta in 3 forme: della risocializzazione, della intimidazione e della neutralizzazione.

Dobbiamo in primo luogo domandarci in vista di quali finalità il legislatore italiano possa minacciare una pena. In uno stato laico, secolarizzato e pluralista come il nostro, il legislatore non può fare ricorso alla pena per realizzare fini trascendenti o etici: la pena non può essere strumento di retribuzione. D’altra parte, la Cost. italiana garantisce ai singoli un corredo di diritti in forza dei quali essi partecipano alla vita dello stato come cittadini e non come sudditi: la pena non può quindi essere utilizzata dal legislatore come indiscriminato deterrente.
Nello stadio della minaccia legislativa, il ricorso alla pena da parte del legislatore italiano si legittima in chiave di prevenzione generale.

Principio di offensività: non vi può essere reato senza offesa a un bene giuridico, cioè ad una situazione di fatto o giuridica, carica di valore, modificabile e quindi offendibile per effetto di un comportamento dell’uomo.

Principio di colpevolezza: il ricorso alla pena si legittima in relazione non ad ogni offesa ad un bene giuridico, ma soltanto in relazione ad offese recate colpevolmente. (personalità della responsabilità penale).

Principio di proporzione: esprime l’esigenza che i vantaggi per la società perseguiti attraverso le comminatorie di pene siano idealmente messi a confronto con i costi immanenti della pena stessa, in termini di sacrificio per i beni della libertà personale.

Principio di sussidiarietà: postula che la pena venga utilizzata soltanto quando nessun altro strumento sia in grado di assicurare al bene giuridico una tutela altrettanto efficace nei confronti di una determinata forma di aggressione; ad essa si può far ricorso solo come ultima ratio.

Lezione 2: Interpretazione della norma

Nell’opera di accertamento della responsabilità penale il giudice deve muovere, come premessa maggiore, dall’interpretazione della norma incriminatrice.

Tra i criteri fra cui il giudice può fare ricorso nel diritto penale riveste un ruolo preminente l’interpretazione letterale. Il principio di legalità dei reati (art.25 Cost.) impone al giudice di attenersi alla gamma dei possibili significati letterali della norma; l’art. 14 delle disposizioni sulla legge e l’art.1 c.p. vietano il ricorso all’analogia; eventuali lacune spettano al legislatore.
Affermando che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato l’art.27 Cost. impone al giudice di orientare le sue scelte in funzione di tale finalità.

La prevenzione generale mentre concorre a legittimare l’inflizione della pena da parte del giudice, non può però svolgere nessun ruolo nella commisurazione della pena. (divieto di pene esemplari).

Una volta che il giudice abbia commisurato la pena lo stesso giudice può disporre che la pena non venga eseguita ovvero può sostituirla con pene diverse e meno gravose.

La pena inflitta dal giudice deve essere eseguita. Questo compito è affidata all’autorità esecutiva. Per quanto riguarda la pena detentiva deve essere orientata alla rieducazione del condannato.
Nella fase dell’esecuzione la ricerca della rieducazione del condannato incontra certi limiti:
a) l’opera di rieducazione non può essere condotta coattivamente: la rieducazione deve assumere la forma dell’offerta di aiuto, non quella della trasformazione coattiva della personalità.
b) la rieducazione deve inoltre cedere il passo alla neutralizzazione del condannato.

Lezione 3 : Il reato

Il reato

Un fatto costituisce reato solo quando la legge gli ricollega una pena. È dunque solo in base ad un criterio nominalistico che i reati si identificano e si distinguono da altre categorie di illeciti.

Non tutte le sanzioni penali assolvono peraltro alla funzione di identificare i reati. Tale compito è affidato alle sole pene principali (ergastolo, reclusione, multa e ammenda).
Non rappresentano un criterio di identificazione dei reati né le pene accessorie, né le misure di sicurezza né le pene sostitutive della detenzione breve.

La specie delle pene principali elencate dall’art.17 c.p. rappresenta il criterio per distinguere il reato dall’illecito amministrativo (per es. quando la legge commina la multa o l’ammenda siamo in presenza di un reato, mentre sanzioni pecuniarie non designate come multa o ammenda hanno natura di sanzione amministrativa.

I reati vengono suddivisi in 2 categorie (delitti e contravvenzioni) utilizzando come unica nota distintiva il criterio formale della specie delle pene comminate (art. 39).

La rilevanza della distinzione tra delitti e contravvenzioni riguarda la diversa disciplina cui vengono assoggettate le 2 classi di reati sotto molteplici profili, tra i quali spiccano l’elemento soggettivo del reato e il tentativo.

1. l’elemento soggettivo di regola chiesto per i delitti è il dolo salvo i casi in cui la legge da espressamente rilevanza alla colpa, mentre le contravvenzioni possono venire commesse di regola sia con dolo che con colpa.
2. il tentativo è di regola configurabile solo per i delitti.
Il fatto

Sono 2 le tecniche che alle quali il legislatore può fare ricorso per descrivere le azioni penalmente rilevanti. Può esigere che l’azione sia compiuta con determinate modalità, e in questo caso si parla di reati a forma vincolata (l’azione sarà rilevante solo se corrisponde allo specifico modello descritto nella norma).
Oppure può attribuire rilevanza ad ogni comportamento umano che abbia causato un determinato evento e in questo caso si parla di reati a forma libera.
Il ricorso all’una o all’altra tecnica dipende dall’importanza del bene giuridico la cui aggressione è penalmente repressa. I beni più importanti sono tutelati da ogni lato come per esempio la vita e l’integrità fisica.

Nei reati di possesso l’oggetto del divieto è il possesso o la detenzione della cosa. In questo tipo di reato è proprio il pericolo dell’uso della cosa che configura il reato.

Nei reati di sospetto si ha una anomala regola di giudizio in contrasto con il principio di non colpevolezza così che l’onere della prova della destinazione o della provenienza lecita della cosa incombe sull’imputato.

In molte figure la rilevanza penale di un fatto come specifica forma di offesa ad un bene giuridico è subordinata alla condizione che l’azione venga compiuta in presenza di determinate situazioni di fatto o giuridiche, che devono preesistere all’azione o ne devono accompagnare l’esecuzione. Tali situazioni vengono designate come presupposti della condotta.

Spesso la norma incriminatrice richiede il verificarsi di un evento, cioè un accadimento temporalmente e spazialmente separato dall’azione e che da questa deve essere causato; il nome di evento spetta soltanto a quella o a quelle conseguenze dell’azione che sono espressamente o tacitamente previste dalla norma incriminatrice, e non alle eventuali ulteriori conseguenze, non prese in considerazione dalla singola norma.
L’evento può consistere in una modificazione della realtà fisica, psichica o in un comportamento umano.

Quando tra gli estremi del fatto compare un evento, l’evento rileva rileva se e in quanto sia stato causato dall’azione: tra l’azione e l’evento deve esistere un rapporto di causalità (art.40 c.p.). esistono 3 teorie della causalità: condicio sine qua non, causalità adeguata, causalità umana.
Nell’art.41 del codice è accettata la teoria condizionalistica.

In alcune figure di reato l’azione o l’evento devono necessariamente incidere su una persona o su una cosa: e tale entità (persona o cosa) viene normalmente designata come oggetto materiale del reato. Nei delitti di omicidio e lesioni personali l’oggetto materiale è un uomo; nel furto una cosa.

Lezione 5: Antigiuridicità e cause di giustificazione

Per la sussistenza di un reato non basta un fatto tipico, cioè un fatto concreto conforme a quello descritto nella norma incriminatrice: occorre anche che la realizzazione in concreto del fatto si ponga in un rapporto di contraddizione con l’intero ordinamento giuridico.
L’antigiuridicità è il concetto con il quale si esprime, come secondo elemento del reato, il rapporto di contraddizione tra il fatto tipico e l’intero ordinamento giuridico.

Un fatto può essere o antigiuridico o lecito; è lecito se anche una sola norma dell’ordinamento lo facoltizza o lo impone. L’ordinamento italiano assegna la prevalenza alla norma che facoltizza o impone la realizzazione del fatto.
Con il nome di cause di giustificazione del fatto o scriminanti si designa l’insieme delle facoltà o dei doveri derivanti da norme, situate in ogni luogo dell’ordinamento, che autorizzano o impongono la realizzazione di questo o quel fatto rilevante.

L’efficacia delle cause di giustificazione è universale: il fatto sarà lecito in qualunque settore dell’ordinamento.
La rilevanza delle cause di giustificazione ha rilevanza oggettiva: l’art.59 c.p. dispone che le cause di giustificazione sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute o per errore ritenute inesistenti.
Di regola chi concorre alla realizzazione di un fatto tipico in presenza di una causa di giustificazione non è punibile.
Contro il pericolo di una giusta offesa non si configura mai la legittima difesa.

Se il fatto è commesso in presenza di una causa di giustificazione ma la condotta dell’agente eccede i limiti segnati si parla di eccesso nelle cause di giustificazione.
Il codice disciplina l’eccesso colposo nell’art.55.

Le cause di giustificazione previste nei vari settori dell’ordinamento sono numerosissime e mutano continuamente di contenuto.

L’art.50 stabilisce che non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne. L’individuazione dei diritti disponibili è possibile solo nell’ambito dei diritti individuali; sono perciò senz’altro indisponibili gli interessi dello stato e della famiglia, il diritto alla vita. Sono invece disponibili i diritti patrimoniali e i diritti personalissimi.
Legittimato a prestare consenso è il titolare del diritto; il consenso può essere manifestato in qualsiasi forma, espressa o tacita e deve sussistere al momento del fatto ed è sempre revocabile.


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